Più che sindaci-sceriffo, sono dei veri e propri sindaci-rambo. L’onda verde della Lega sommerge il profondo Nord con un mare di ordinanze e regolamenti comunali che combinano l’acrimonia xenofoba con la boutade carnascialesca. Anche se, purtroppo, c’è solo da piangere.
Dalle ordinanze contro il kebab o contro i cigni, alle più tristi diffide a rom o ad extracomunitari a stanziarsi su di un territorio. Il verde di questi paesini lindi e fioriti, fra valli profumate di lavanda, stride con la cattiveria che trapela dai manifesti che gridano “Fuori dalle palle”, “Immigrati, torturali è legittima difesa!”, “Via gli zingari”. Già. Perché all’inizio si rideva delle ordinanze di Gentilini contro i cigni, salvo poi dover riconoscere la pericolosità di un personaggio che, fra inni a sparare agli immigrati, a cacciare “i culattoni”, o ad “eliminare i bambini dei [sic] zingari”, ha fatto scuola.
(Comizio di Gentilini)
L’ultimo arrivato è Danilo Lancini, sindaco di Adro, assurto al disonore delle cronache per la mensa vietata ai figli degli immigrati morosi. Lancini è un instancabile inventore di norme anti-immigrati; dalla residenza lunga minimo 18 anni ad Adro per accedere alle case popolari, all’infame bonus-taglia per i vigili; 500 euro per ogni clandestino catturato. Il brillante codex adrensis segue l’altra ignominiosa iniziativa del comune leghista di Coccaglio denominata, oltre ogni decenza, White Christmas.
L’ordinanza che vieta la sosta in comune per “nomadi e zingari”, invece, è stata praticata a Guidizzolo, Ceresara, Bozzolo, San Giovanni del Dosso, Castelbelforte e Pomponesco; il mentore del provvedimento è stato il sindaco guidizzolese Graziano Pellizzaro, novello Beccaria.
Al sindaco di Cittadella, Bitonci, invece, si deve l’ordinanza che negava i certificati di residenza agli immigrati poveri. Le fervidi menti padane escogitano norme senza sosta. Roberto Manenti, sindaco di Rovato, scrisse un’ordinanza che, nel “paese delle mille chiese”, impediva di fatto la mobilità, non solo ai mussulmani, ma anche agli atei. «Vista la necessità di salvaguardare i valori cristiani dalla incessante contaminazione di altre religioni, il sindaco dispone il divieto, ai non professanti la religione cristiana, di accedere ai luoghi di culto». Il testo sanciva un’area di sicurezza ben oltre il sagrato: 15 metri. Manenti, intanto, famoso per le ordinanze anti-prostitute, è stato condannato, in I grado, per stupro di una lucciola rumena.
Per evitare le rumorose adunate sediziose degli immigrati armati di kebab, Franco Orsi, sindaco di Albisola, è giunto a vietare all’intera città il centro storico: «Nessuno potrà entrare nel centro storico dalle 3 alle 6 del mattino di tutti i sabato e domenica. Neppure i pedoni».
Il sindaco Alessandro Montagnoli di Oppeano, svestiti i panni dello sceriffo, ha vestito quelli dell’amministratore di condominio; stabilendo che, in ogni palazzo, non ci siano immigrati per più del 30%.
Enzo Bortolotti, di Azzano Decimo, invece, si è buttato sulla gastronomia fusion: in paese, è lecita la vendita di cous cous, kebab e pollo al curry «soltanto se accompagnati a polenta, brovada e musetto».
Alla fine, anche il sindaco di una grande città, Milano, si è messo al passo con la verve valligiana. «Abbiamo chiesto al ministro Maroni – ha dichiarato Letizia Moratti, lo scorso marzo – di estendere, con un decreto legge, la possibilità per la polizia di Stato di fare irruzione in un locale non solo per i reati di terrorismo o droga, ma anche di clandestinità». L’ordinanza della Moratti obbliga, a suon di una multa da 450 euro, anche proprietari e inquilini a depositare i contratti d’affitto e a dichiarare chi occupa gli alloggi; mentre gli amministratori di condominio devono segnalare le irregolarità negli stabili. Insomma, il meccanismo normativo di delazione introdotto da quella legge che prevedeva l’obbligo (poi ritirato) dei medici di denunciare i clandestini, ora viene esteso a proprietari, inquilini e amministratori.
Il commento
Stupidità e razzismo, in un Paese alla deriva
Le colorite ordinanze dei sindaci-sceriffo delle Lega vanno prese molto seriamente. Il tono carnascialesco del partito di Bossi, infatti, porta concretamente a sottostimare un fenomeno preoccupante che, oltre a rovinare le vita dei migranti oggetto di questi dispositivi, crea le condizioni per una degenerazione nella gestione del fenomeno migratorio che danneggerà, in ultima istanza, anche l’Italia.
Mentre la Caritas si indigna, il ventre molle del Paese, quando non apertamente appoggi queste misure, si limita a ridere delle boutade “sì alla polenta, no al cous cous”. Purtroppo.
Molti di questi provvedimenti padani sono, d’altronde, in evidente violazione della costituzione, del diritto internazionale, della Carta dell’Onu e della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Sono regolamenti, quindi, che dovrebbero avere vita breve. Ma, mentre i migranti, quando e se possono, partono con la trafila volta a far annullare tali illegittimi provvedimenti, queste stesse norme, nel breve e medio periodo, riescono a dispiegare il loro pernicioso obiettivo: rendere la vita dei migranti un inferno. Fra vessazioni e discriminazioni, ancora più odiose perché ammantate da un’aura di pseudo legalità. Ed è in questo solco che si rischia una degenerazione della gestione del fenomeno migrazione. I lavoratori extracomunitari, infatti, vengono spinti da questi sindaci-sceriffo non a tornarsene nei loro Paesi di provenienza – come urlano i fautori del “padroni in casa nostra” – giacché le braccia straniere servono sia alla nostra industria che al nostro sistema pensionistico.
Piuttosto, tali ordinanze costringono esclusivamente i migranti ad abbandonare questi paesini ostili, a favore delle grandi conurbazioni cittadine. Ed è qui il problema. I fenomeni più pericolosi di marginalità sociale e devianza si producono proprio nei quartieri-ghetto-alveare delle città.
Era proprio la polverizzazione dei migranti nei paesini della valli che, oltre a rispondere meglio alla logica “molecolare” del nostro capitalismo, rappresentava un argine naturale alla creazione di ghetti.
Ecco che, paradossalmente, la tolleranza zero dei leghisti, lungi dal risolvere il problema immigrazione crea quelle condizioni materiali, sociali ed urbane atte a trasformare la migrazione da problema sociale in problema criminale.
Con tutte le conseguenze che questo comporta. Soprattutto con riferimento all’esplosione dei costi del sistema di repressione.
Le ordinanze della Lega, quindi, ci spingono a formulare due diverse valutazioni. In primis, ci obbligano a ripensare alla “cattiveria” come vera e propria categoria politica. Non è l’interesse, l’utilità o la soddisfazione, piuttosto vera e propria cattiveria che spinge una parte del Paese a produrre od incoraggiare queste politiche. Questa Padania vive in una atmosfera decadente, come negli ultimi giorni della Repubblica di Weimar. Si nutre di odio e vomita odio che, non caso, nelle teorizzazioni leghiste, non riguarda solo i migranti, ma tutti “i diversi”, rispetto ad una concezione idealistica ed idilliaca di un territorio-fortezza popolato da un Volk, accomunato dal sangue.
Nonostante i successi elettorali della Lega, è l’irriducibilità di questo partito alla democrazia che dovrebbe essere affermata con forza da tutti i partiti che hanno a cuore la costituzione, andando oltre la litania delle querule voci che intonano il refrain “la lega non è razzista”. La Lega è genuinamente razzista, infatti.
In secondo luogo, bisogna stigmatizzare la stupidità di queste scelte. Questi sindaci-sceriffo volevano solo cacciare gli immigrati dai loro territori. Come se spostare un migrante in un altro Comune potesse coincidere con la soluzione del problema immigrazione. Ma proprio questi sindaci, in forza di scellerate ordinanze, stanno solo contribuendo a creare quelle pericolose banlieu dalle quali si sentivano minacciati. La stupidità genera la profezia che si autoavvera.