La forza di Berlusconi, si dice, ed egli stesso sostiene, è quella di essere “uno di noi”, un italiano come tanti. Nonostante la realtà delle cose lo ascriva ad un milieu sociale corrispondente alla migliore borghesia meneghina, soprattutto da quando la figlia Marina è entrata in Mediobanca, l’epitome dell’aristocrazia capitalistica italiana, il nostro premier insiste su questa identità popolare e, si direbbe, popolana.
Questa immagine, in realtà, è alimentata da Berlusconi solo attraverso due comportamenti. Proferire boutade, spesso grossolane, come il caso dell’Obama abbronzato attesta, e frequentare persone del popolo, ma solo di sesso femminile.
Berlusconi, infatti, preferisce indubbiamente gli aristocratici a là Licio Gelli ai Meo Patacca ed Arlecchin Batocio; ma quando si tratta di donne, ebbene sì, il Nostro, novello Brighella, opta per le procaci popolane.
Come il Gozzano dell’”Elogio dell’amore ancillare”, Berlusconi preferisce “la cameriste” alle “padrone”. «Gaie figure di decamerone, le cameriste dan, senza tormento, piú sana voluttà che le padrone […]che fa le notti lunghe e i sonni scarsi, non dopo voluttà l’anima triste: ma un più sereno e maschio sollazzarsi».
Soprattutto nell’eros, Berlusconi, come Gozzano, dice: “Lodo l’amore delle cameriste!”.
E’ indubbio, infatti, che questo popolo di escort, ninfette e ragazze immagine provenga in gran parte da un ambiente sociale molto distante da San Babila e Montenapoleone.
Paradosso della geografia – per un premier alleato della Lega -, Berlusconi fugge i salotti milanesi non per Quarto Oggiaro, ma per la Secondigliano o la Casoria di Noemi Letizia.
Ma queste frequentazioni, in realtà, non sono le prove della democraticità popolare di Berlusconi ma, proprio come nella concezione piccolo borghese di Gozzano, svelano la natura dei rapporti con il popolo che Berlusconi intrattiene. Una natura che si ispira al paternalismo e al dominio; in ultima istanza, anche sessuale. Un’epitome postmoderna dell’amore ancillare. L’elogio degli amori ancillari di Guido Gozzano è, infatti, la massima teorizzazione poetica del rapporto d’amore piccolo borghese, imperniato non sul confronto fra pari ma sul dominio incontrastato del maschio sulla femmina. La letteratura è piena di dotti e vecchi nobil’uomini che preferiscono donne giovani e incolte, con le quali ricostruire un rapporto quasi di servaggio, dove la donna venera la cultura e l’esperienza maschile. Un rapporto dove l’uomo, in ultima istanza, plasma e crea la propria compagna, come nel Pigmalione di Ovidio o di George Bernard Shaw.
Proprio il caso della Briseide di Ovidio incarna questo ideale dell’amor servile che potremmo contrapporre all’amor coniugale, cioè paritetico, rappresentato da Penelope o Laodamia. Ma il sogno erotico piccolo borghese del nostro premier, evidentemente, non include una relazione di confronto paritetico, ad esempio, con una bella figlia di quella borghesia meneghina colta alla quale Berlusconi in linea di principio appartiene.
Una intellettuale non venererebbe il premier come se questi fosse Henry Higgins, il professore inglese protagonista del Pigmalione di Shaw, riverito dalla popolana fioraia Eliza Doolittle.
I festini della D’Addario, d’altronde, pennellano interni orientaleggianti e dionisiaci, dove al posto delle geishe musicanti abbiamo geishe auscultanti e un’Apicella cantore, con flauto di Pan; mentre i video mandano in onda le gesta di Berlusconi fra l’ammirazione delle ancelle.
Se le indagini lo confermeranno, il nostro premier avrà cercato di spacciare, forse inconsapevolmente, la sua bramosia di dominio, anche sessuale, del popolo per la riprova della sua filantropia. Mentre quello che sta emergendo è, ancora una volta, una concezione fortemente misogina. E mentre le ninfette venerano il totem fallocratico, Apicella suona Malafemmena.