Le Ong denunciano continue violazioni dei diritti dei civili tamil, mentre avanza l’esercito della presidente Rajapaksa. I welfare village – ribatte il governo – accoglieranno i rifugiati.
Il governo dello Sri Lanka si appresta a costruire nuovi “campi di reclusione” dove stipare i 200.000 tamil che stanno fuggendo via dal nord est dell’isola di Ceylon, dove infuria la fase finale del conflitto fra esercito regolare e l’organizzazione separatista delle tigri tamil.
L’amministrazione cingalese ha dichiarato che aprirà cinque welfare village per mettere in sicurezza i rifugiati, al fine di evitare disordini e rappresaglie. Molti osservatori internazionali, invece, hanno espresso forte preoccupazione per la natura di questi campi, le eventuali violazioni dei diritti umanitari e per il pericolo che la condizione dei civili tamil diventi permanente; con l’impossibilità per i tamil di fare ritorno alle loro abitazioni, nell’attesa che l’esercito bonifichi il territorio dalla presenza delle tigri.
La tensione già era salita per dopo le denunce di Amnesty International e Human Rights Watch circa le inumane condizioni di reclusione dei tamil nei campi temporanei – dove sono stati rinchiusi i rifugiati in attesa della costruzione dei welfare village -.
Varie associazioni, fra cui la Croce Rossa e la CNN, hanno accusato l’esecutivo cingalese di violare i diritti della popolazione tamil.
Il portavoce Onu Gordon Weiss ha recentemente dichiarato a El Paìs che 52 civili sono stati uccisi a Suranthapuram, mentre la Croce Rossa ha riferito che 20 pazienti sono morti in un bombardamento cingalese di un ospedale a Puthukudiyirippu.
Il governo di Colombo rigetta le accuse, mentre le veline delle principali agenzie stampa ribattono che l’informazione, nel Paese, è attualmente “filtrata” dalla politica.
Dopo trent’anni di una violenta guerra, il regime cingalese si sta, infatti, avviando a concludere la spinosa questione del separatismo tamil. L’esercito è pronto a scatenare la “battaglia finale” – come l’ha definita la presidente Mahinda Rajapaksa – contro i guerriglieri, oramai esclusivamente concentrati nel nordest del Paese e ridotti allo stremo. La convinzione che la vittoria è a portata di mano è così forte che l’esecutivo già da tempo stava pianificando i welfare village.
Allo stato attuale, l’amministrazione in carica sembra essere stata travolta dall’ottimismo incontenibile che ha manifestato la popolazione e sta prestando poca attenzione alle critiche che le organizzazioni umanitarie stanno formulando verso i campi di reclusione per i tamil. I cingalesi, che rappresentano il 73% della popolazione contro solo l’8% di tamil, salutano il passaggio delle truppe e addobbano le città con le bandiere nazionali. Mahinda Rajapaksa ha chiesto ai cingalesi che furono costretti ad abbandonare i loro villaggi, caduti sotto il controllo delle tigri, a farvi ritorno.
In questo clima di euforia, solo il ministro della Difesa Gotobaya Rajapaksa, marito della presidente, ha invitato tutti alla prudenza.
In questo momento, 50.000 unità dell’esercito governativo sono riusciti ad isolare le 2.000 tigri in una zona di sicurezza di 30 km quadrati. La sensazione è che la fine della guerra civile sia oramai prossima.
E’ dal 1983, infatti, che lo scontro fra i tamil, di religione indù, e i cingalesi, buddisti, ha assunto la forma del conflitto armato. Le vittime sono state più di 70.000.
Le tigri – considerate dall’Unione Europea “gruppo terrorista” per il ricorso abituale agli attentati suicidi contro la popolazione inerme – aspiravano a creare uno Stato indipendente nella parte settentrionale di Ceylon, dove erano riusciti a creare un Stato di fatto, ora ridottosi ad un piccolo pezzo di giungla.