Ritorna la separazione fra banche d’affari e commerciali? Proprio come fu necessario per uscire dalla crisi del ‘29. Per adesso, il salvataggio governativo di Citigroup è costato 52 miliardi di dollari ai contribuenti USA.
Citigroup sta accelerando il percorso che dovrebbe portare il colosso americano alla divisione in due rami: un passaggio resosi necessario nel tentativo di recidere le parti più improduttive dell’impresa a seguito della crisi finanziaria; nonostante i due salvataggi promossi dal governo americano nel tentativo di salvare la banca, di 25 e 27 miliardi di dollari.
Il gruppo è spinto da una triplice serie di pressioni.
Una legata semplicemente alla crisi; un’altra che proviene direttamente da Washington, ovvero dai regolatori che hanno individuato nell’assetto di Citigroup una debolezza del sistema finanziario americano; la terza pressione nasce da Wall Street, da quegli investitori ansiosi di mettere al sicuro i propri capitali spesi nella banca.
La divisione di Citigroup sancirebbe la fine di un modello di sviluppo ultraliberista, resosi possibile con la fusione tra banche d’affari e commerciali – un tempo vietata in America dal Glass-Steagall Act -.
Ed è paradigmatico che proprio la divisione fra questi due tipi di banche era stata introdotta come misura regolatrice all’indomani della crisi del ’29.
Con la separazione di Citigroup si tornerebbe, in pratica, allo status quo pre 1998. Quando nacque il colosso finanziario con la fusione di Citibank e Travelers Group.
Nel 1999, il parlamento e il governo americano furono costretti ad intervenire – non senza polemiche – attraverso l’adozione del Gramm-Leach-Bliley Act, che novellava, o meglio cancellava, il Glass-Steagall Act del 1933, legalizzando l’avvenuta fusione fra Citibank e Travelers che, ai sensi della vecchia regolamentazione, sarebbe stata illegale.
Il senato, a maggioranza Repubblicana, approvò l’Act – che rispondeva ad un preciso interesse dei gruppi finanziari – e Clinton fu costretto alla firma suo malgrado.
All’indomani della crisi dei subprime del 2007, autorevoli economisti come Robert Ekelund e Mark Thornton hanno puntato il dito sull’improvvido provvedimento che aveva sancito la vittoria di un’offensiva ultraliberista – partita all’epoca di Reagan – favorevole a concentrazioni oligopolistiche ed insofferente a regolamentazioni.
Attualmente Citigroup, nonostante i due salvataggi governativi pagati dai contribuenti, si aspetta di perdere 10 miliardi dollari entro il quarto quadrimestre.
Dopo la seconda immissione di liquidità, Sheila Bair, chairwoman della Federal Deposit Insurance Corporation, ha fatto sapere che eventuali altri aiuti saranno vincolati all’adozione da parte di Citigroup di tutte quelle misure suggerite dalle autorità di regolamentazione.
Sarebbe, d’altronde, molto interessante capire quando e in che modo l’amministrazione Obama provvederà a trasformare le misure regolamentatrici volontarie in provvedimenti di legge.
Se così non fosse, i grandi gruppi si separerebbero solo nei momenti di crisi, pronti a rifondersi quando l’economia va bene, gettando così le premesse per ulteriori crisi di sistema.
Attualmente il nuovo amministratore di Citigroup, William Smith – eletto per imprimere un deciso taglio di rotta al gruppo – è assolutamente favorevole alla vendita, da effettuarsi nel modo più rapido possibile. Ma trovare acquirenti per le attività in perdita, nell’attuale disastrato mercato americano, non sarà facile.