Non solo casalesi. La costa spagnola è il paradiso per i mafiosi britannici e i russi. Di seguito, la mia inchiesta pubblicata sulla Voce di luglio.
Eclissi di sole sulla Costa del Sol. La Costa Nostra, com’è stata ribattezzata, è una vera internazionale del crimine organizzato. Mafia, ma non solo italiana.
(il video è il trailer di Sexy Beast, film sui mafiosi inglesi in Spagna)
Il litorale iberico, infatti, è diventato il laboratorio per ridisegnare nuove alleanze e strategie nella spartizione dei traffici illeciti fra le criminalità organizzate di tutto il globo. Perché i sodalizi criminali dimostrano maggiore capacità di cooperazione rispetto alle logiche competitive dell’economia legale. Questo consente ai boss di intraprendere nuovi e fruttuosi business, con una sorta di specializzazione funzionale di tipo evoluzionistico che caratterizza le attività internazionali delle mafie che operano come altrettanti “rami d’azienda”. I colombiani si occupano di cocaina, i montenegrini gestiscono l’eroina afgana, i russo-baltici smerciano petrolio e gas illegale, la mafia russo-ebraica o caucasica si occupa della vendita di uranio e plutonio, le mafie italiane sovrintendono al mercato delle derrate alimentari e riciclano i proventi degli illeciti nelle speculazioni immobiliari.
Fra i più forti nella speculazione mattonara, oltre ai casalesi, ci sono i britannici. A chi è abituato alla coppola e lupara sembrerà strano che i figli di Albione possano rappresentare un problema criminale.
Eppure, è così. La penetrazione criminale inglese nella “Costa del Crime” risale agli anni ’80, quando non venne rinnovato l’accordo di estradizione Regno Unito-Spagna risalente a Benjamin Disraeli. Il vero boom edilizio iniziò, però, agli anni ‘90, grazie ai buoni offici di Jesus Gil y Gil.
La figura di Gil, d’altronde, è paradigmatica: cinghia di trasmissione fra imprenditoria, mafia e politica. Gil, la cui ricchezza proveniva dall’edilizia, è stato militante di estrema destra, sindaco di Marbella – dove erigeva statue a Francisco Franco -, fondatore del Grupo Independiente Liberal (GIL) – partito fascista a carattere localista -, nonché presidente dell’Atletico Madrid e della Liga, la lega calcio spagnola. Sotto il suo “regno”, egli manomise tutti i piani urbanistici della Costa, favorì la speculazione edilizia delle sue aziende e la localizzazione, a Malaga, non solo di mafiosi di mezzo mondo, ma anche degli ex falangisti (i fascisti spagnoli, Nda) precedentemente fuggiti in Nord Africa, e di nazisti-fuggiaschi come Otto Remer e Léon Degrelle, il fondatore del rexismo, il movimento collaborazionista belga. In questo paradiso del farabutto e del fascio, i primi ad ambientarsi sono stati proprio i britannici.
Sulla Costa, infatti, sono stati arrestati Ronnie Knight e Frederick Foreman, le due eminenze grigie dietro una delle più grandi rapine mai registratesi nel Regno Unito: il colpo della Brinks Mat, 26 milioni di sterline di lingotti d’oro trafugati nel 1983 dall’aeroporto di Heathrow. Lingotti che si sono trasformati, secondo Interpol, nella colata di cemento che ha travolto la Costa a suon di resort, hotel, campi da golf e detached summer houses (la tipica casa-villeggiatura inglese, Nda) per i pallidi anglosassoni in cerca del sole mediterraneo.
In Costa del Sol, ci sono 350.000 case appartenenti ai sudditi di sua maestà con punte di 500 arresti/l’anno per i cittadini inglesi residenti in Spagna. English gentlemen che girano da qui la cocaina colombiana e l’hascisc afgano che si consuma copioso a Londra. A giugno, d’altronde, sulla Costa, è stato ucciso Danny Smith, uno dei mafiosi inglesi più temuti e presebte nella top ten dei ricercati britannici di Spagna, l’Operation Captura.
Degni sparring partner degli inglesi sono gli irlandesi. Entrambi, infatti, si appoggiano alle banche off-shore di Gibilterra, l’exclave del Regno Unito in terra spagnola.
Lo scorso maggio, intanto, sono stati arrestati sulla Costa i numero uno della mafia di Dublino, Christopher Kinahan – una sorta di “professore ‘e vesuviano”, con laurea in sociologia e scienze ambientali conseguite in prigione e un patrimonio personale di circa 150 milioni di euro – e John Cunningham, rinchiuso in una villa bunker delle meraviglie da 12 milioni di euro, a Estapona.
Contemporaneamente, si è conclusa anche l’operazione Shovel, gestita direttamente da Europol. 17 membri della mafia irlandese, accusati di 20 assassini, sono stati arrestati ad Estepona, Marbella, Fuengirola e Mijas.
Gli irlandesi, d’altronde, sono una vera multinazionale, presente in Spagna da tempo e negli Stati Uniti ben prima che arrivassero Gambino e gli italiani. Secondo l’americana UDEF (Economic and Fiscal Crime Unit) e la spagnola Udyco, gli irlandesi hanno realizzato una rete criminale che conta ben 20 nazioni, andando dall’Olanda alla Svizzera, dalla Cina a Dubai.
In Brasile, ad esempio, sono stati appena chiusi sette resort a 5 stelle costruiti dagli irlandesi con i proventi della vendita di droga e di armi.
Un business, quest’ultimo, che è risultato fatale per la vecchia guardia dublinese. Due anni fa, in Costa del Sol, ci fu una vera e propria mattanza di irlandesi, e Paddy Doyle, allora capo della cupola, fu fatto fuori a mitragliate. Era la ritorsione della Mafia russa.
La Bratva è, probabilmente, la mafia più forte per quel che riguarda la vendita di armi, ma ha una posizione di rilievo anche per il traffico di essere umani e la gestione delle prostitute dell’Est attive nelle principali capitali europee. I mercati meridionali sono alimentati tramite Cipro, quelli mitteleuropei attraverso i Balcani o la Romania, dalla Costa del Crime passano droghe, armi e prostitute per il Nord Europa. Nonostante la stampa occidentale parli di “mafia russa”, si tratta, in realtà, di un tipo di criminalità organizzata attraverso diversi satelliti e gruppi, molto diversi per nazionalità od etnia.
A giugno, ad esempio, è stato arrestato a Marbella Alexander Kalashov, capo della cupola georgiana. Il padrino del ramo spagnolo, comunque, era Zakhar Kalashov, un curdo-armeno, condannato, lo scorso 8 giugno, a sette anni di prigione e a versare alla Corona spagnola 20 milioni di euro.
Ci sono, poi, mammasantissimi ucraino-israeliani, come Semion Mogilevich – considerato dall’FBI il “boss di tutti i boss”, incluso nella famigerata “Fbi’s Ten Most wanted list” -, o uzbeki come Alimzhan Tokhtakhounov.
La rotta spagnola, inoltre, è particolarmente proficua per i ceceni. La Obshina, la mafia cecena, infatti, trasporta l’eroina afgana attraverso l’Abcazia, il Mar Nero, la Turchia e Cipro, tramite il porto cipriota di Limassol. I russi, infatti, gestiscono quel porto e possiedono molte proprietà immobiliari, insieme agli irlandesi che possono vantare un vecchio rapporto con la banda dei fratelli Arifs, i mafiosi turco-ciprioti ai quali si deve la famosissima idea di fare le rapine indossando la maschera di Reagan.
La Obshina, d’altronde, è la mafia specializzata nella vendita di plutonio e alcune sue frange sono in stretto contatto con i guerriglieri jihadisti.
Lo stesso Semyon Moglivich, inoltre, è stato accusato di vendere il plutonio trafugato agli arsenali dell’ex Unione Sovietica a Osama Bin Laden. Il giornalista britannico Gordon Thomas ha perfino sostenuto che il Mossad (i servizi segreti israeliani, Nda) sia stato costretto a comprare gli stock provenienti dal programma nucleare Mad – il famoso “equilibrio del terrore” fra Usa e Urss: Mutual Assured Distruction –, direttamente dalla mafia pur di non lasciare che cadesse nelle mani di Al Qaida.
Mogilevich, infatti, vendeva armi in Europa che smerciava il trafficante siriano Monzer al-Kassar, sospettato di essere un fornitore di Bin Laden ed attivo proprio a Malaga.
Il business delle armi e degli isotopi, d’altronde, ci riporta anche a Zakhar Kalashov, che potrebbe essere l’eminenza grigia dietro la morte di Alexander Litvinenko, ex spia del Kgb e grande accusatore del sistema Putin in Russia, morto avvelenato con il polonio 210, a Londra, nell’ambito di un affaire internazionale che, all’epoca, coinvolse Romano Prodi, Paolo Guzzanti e l’ubiquo Mario Scaramella, consulente della Commissione Mitrokhin. Secondo il giornalista americano Justin Raimondo, il polonio che uccise Litvinenko proveniva dalla mafia russa di Spagna. La sua uccisione avvenne anche come ritorsione agli arresti favoriti da Litvinenko di vari mafiosi come Alexander Gofstein, catturato in Spagna durante una visita a Zakhar Kalashov nel 2006. Lo stesso Mario Scaramella, che è stato sospettato di essere l’assassino materiale di Litvinenko, è stato poi arrestato per traffico d’armi, l’altro affare principale proprio di Kalashov.
Il nome di Tokhtakhounov, invece, è legato alle indagini relative alla vittoria in coppa Uefa 2008 dello Zenit di San Pietroburgo, la squadra della Gazprom. Una vittoria, secondo l’accusa, che potrebbe essere truccata e che sarebbe stata decisa proprio dai russi della Costa del Sol. Tokhtakhounov, d’altronde, sarebbe l’ideatore di un sistema truccato già sperimentato in occasione delle Olimpiadi invernali del 2002; i pm di Salt Lake City, infatti, avrebbero voluto processare Tokhtakhounov per la truffa attraverso la quale sono state assegnate le medaglie d’oro nello skating a Yelena Berezhnaya e Anton Sikharulidze. La richiesta di estradizione, però, è stata respinta. Nello scandalo Zenit, d’altronde, si trova il nome di un altro “spagnolo” illustre: Gennady Petrov.
Due anni fa, il giudice Baltasar Garzon, famoso per aver spiccato un mandato di arresto per l’ex dittatore cileno Pinochet, sgominò con l’Operazione Troika la gang sanpietroburghese dei Tambov, attiva a Maiorca; nell’ambito di quella operazione, fu arrestato proprio Petrov, fino ad allora considerato solo un immobiliarista mondano interno alla cerchia della figlia di re Juan Carlos. In quell’occasione, venne messo sotto inchiesta anche Vladislav Reznik, parlamentare e sottosegretario del partito di Putin, accusato di offrire coperture istituzionali alle attività illecite della mafia. Reznik, ovviamente, è protetto dall’immunità parlamentare, e l’unica cosa che hanno potuto accertare i pm spagnoli è che non pagava le tasse per la sua bellissima villa: che si trovava, guarda caso, sulla Costa del Crime.