Eni vende azioni di Neft a Gazprom, potenziando il monopolista russo, mentre l’ex boiardo Khodorkovskij subisce persecuzioni politiche e marcisce in Siberia
L’Eni fa ancora affari in Russia. Il gruppo diretto da Paolo Scaroni rivende le azioni di Gazprom Neft a Gazprom per 4,2 miliardi di dollari, secondo quanto previsto da un discusso accordo che risale a due anni fa. La faccenda si iscrive, infatti, nel controverso caso Yukos: allora, una delle principali compagnie petrolifere al mondo, di proprietà dell’oligarca Mikhail Khodorkovskij, un ex boiardo di Stato che, come altri in Russia, era riuscito a mettere le mani su importanti asset ex pubblici. All’inizio del 2000, Khodorkovskij era l’uomo più ricco di Russia. Divenne presto inviso a Putin, anche per il suo progetto di scendere in politica.
Nel 2003, Khodorkovskij viene arrestato con le accuse di frode, evasione fiscale e riciclaggio di danaro sporco. Secondo diversi osservatori internazionali, Khodorkovskij è oggetto di un vero e proprio processo politico: viene sbattuto in Siberia in una zona avvelenata da scorie radioattive. In carcere subisce varie intimidazioni, si prende una coltellata e finisce in isolamento.
La Yukos, intanto, viene smantellata e gravata dalle (presunte) tasse arretrate, per 27,5 miliardi di dollari.
Ma, nella Yukos, c’erano anche capitali americani. La Russia si ritrova invischiata in un contenzioso internazionale. Un ramo d’azienda, la Yugansk, viene svenduta in un’asta pilotata alla Rosneft, diretta del vicepremier Igor Sechin.
Il Cremlino decide di organizzare un’altra asta per i rimanenti asset, in una farsa che Robert Amsterdam, legale di Khodorkovskij, definisce “illegale” e “primo caso di riciclaggio di asset internazionale”. Gazprom, infatti, se partecipasse direttamente all’incanto, sarebbe travolta da querele; prelevando, in seguito, i rami ex Yukos, la passerebbe, invece, liscia come “acquirente in buona fede”.
All’asta, partecipano Eni ed Enel. Nonostante le perplessità di Prodi e Bersani, allora al governo; prevale la linea Scaroni. Il manager vanta, infatti, consolidate amicizie in Russia con altri protagonista della faccenda, come con Gregorji Beryokzin di Esn.
Intanto, il tribunale di Houston sentenzia che Yukos non ha negli Stati Uniti una presenza sufficiente per usufruire della giurisdizione Usa. Putin può procedere alla fusione fra Gazprom con Rosneft. I tribunali di Mosca, nel frattempo, prolungano la detenzione di Khodorkovskij: infine, oggi, Eni e Enel vendono gli asset ex Yukos a Gazprom.
L’annuncio viene dato in occasione del Forum bilaterale russo italiano. Ma l’accordo si era già perfezionato un mese fa, fra Berlusconi e Putin.
Resta da chiedersi perché l’Italia si presti a rafforzare il monopolista Gazprom, non solo in patria, ma anche all’estero; come gli accordi fra Eni e il gigante russo in Libia e su South Stream – la pipeline competitor del progetto UE Nabucco – dimostrano. L’Italia, forse, spera in un atteggiamento di favore da parte russa. Mentre il Cremlino pratica brillantemente verso la Ue il “dividi et impera”. E’ paradossale che il nostro governo parli di “interessi comuni europei”, mentre aziende di Stato (il 30% di Eni è pubblico, infatti) perseguano altri scopi. All’ombra dei processi politici che funestano la Russia.