Ogni anno, 250 milioni di persone sono travolte da “disastri naturali” legati alle modifiche all’ecosistema indotte dall’attività economica dell’uomo: non si tratta di terremoti, infatti, quanto di carestie, legate alla desertificazione, e alla siccità.
E’ quanto emerge dal report 2009 The right to survive, della Oxfam, Onlus attiva nella ricerca sociale focalizzata sui temi della povertà e dell’uguaglianza. I ricercatori della Oxfam hanno isolato i “natural disaster” al netto di quelle calamità che sarebbero indotte da cambiamenti climatici spontanei, ovvero le cui dinamiche, secondo le stime più rigide dei ricercatori non legati a gruppi ambientalisti, non sono imputabili ad inquinamento e gas serra. Nonostante il carattere delle stime dei ricercatori sia formulato “per difetto”, si tratta di una vera e propria emergenza.
Le proiezioni, inoltre, prevedono che il numero di persone colpite dai “climate related disaster”, nel 2015, potrebbe crescere del 50%, attestandosi su 375 milioni. I ricercatori sostengono che, anche accettando l’idea che queste proiezioni vengono effettuate su teorie non condivise da tutta la comunità scientifica, il dato di fatto che emerge dalle statistiche raccolte – dati Onu, fra l’altro – dimostra comunque una crescita significativa della percentuale di popolazione colpita dalle calamità.
Proprio l’Onu, inoltre, ha accertato come le dinamiche connesse al degrado ambientale siano concause di un circolo vizioso: più povertà, che a sua volta comporta maggiore incapacità di resistere ai climate related disaster. Con l’evidente aumento dei conflitti, indotti dalla povertà e legati ad una sempre maggiore scarsità di risorse ambientali – che una volta consumate non sono rinnovabili -. L’Oxfam cita un rapporto Onu che sostiene che la stragrande maggioranza delle 235.000 persone morte, lo scorso anno, a causa dei disastri naturali, si sarebbe potuta salvare grazie a migliori e differenti politiche da parte dei governi responsabili.
I governi nazionali e la comunità internazionale, invece, stime alla mano, sembrano indulgere in un’errata valutazione del rischio. Non si implementano, ad esempio, adeguate politiche della casa per sostituire le bidonville con case antitornado – e, analogamente, potremmo estendere il discorso anche all’Italia, con il proprio patrimonio immobiliare assolutamente inadatto dal punto di vista sismico – perché l’impegno economico viene stimato troppo gravoso e il rischio basso.
I rischi, invece, sono alti: e gli interventi ex post per ricostruire costano di più di quanto si sarebbe speso prima per prevenire. Con l’aggravante che i morti rappresentano essi stessi un reddito mancato ed un danno economico, non solo umano. I ricercatori dell’Oxfam, infatti, dimostrano che – se non si inverte il trend – la mole di disastri, in futuro, supererà la capacità economica del sistema umanitario (associazioni, enti) di operare azioni riduttive del danno. L’unica scelta sono, quindi, le azioni preventive. Le azioni proposte dalla Oxfam vanno dalle politiche di riduzione delle immissioni di gas serra, alla richiesta di un maggior finanziamento del sistema umanitario. E’, inoltre, fondamentale che anche i Paesi non Oecd – l’organizzazione per la operazione internazionale – si attestino su un monte contributi per il sistema umanitario, paragonabile a quello dei Paesi Oecd.
Il costo globale dell’operazione si attesta sui 50 miliardi di dollari l’anno. Poco in confronto al rischio reale: e soprattutto, in confronto ai 2,3 milioni di miliardi spesi da Europa e Usa per sostenere il settore finanziario in crisi.