Pechino vuole riscrivere il diritto del mare, mettere le mani su risorse e territori e rafforzare i propri confini
L’ultimo incidente, all’inizio del mese, fra alcune navi militari cinesi e l’incrociatore americano Impeccable, al largo dell’isola di Hainan, nel mar Cinese, è l’ultimo di una serie di conflitti che Pechino ha ingaggiato con la comunità internazionale sul diritto del mare e sulla titolarità di alcune isole del Pacifico.
Fonti americane parlano di intimidazione militare alla Impeccable. I cinesi avrebbero fisicamente bloccato la nave e le attività di posa di materiali tecnici sul fondale. Manovre americane senza permessi, ribatte Pechino: ed in una zona di giurisdizione esclusiva cinese.
Per Pechino, gli americani non avevano il diritto legale di stare lì. Ma cosa ci dice il diritto? Poco.
La Cina, infatti, è fra le potenze emergenti che vogliono riscrivere il diritto del mare. Per plasmarlo sui propri interessi. Partiamo da un dato geostrategico regionale. In quella parte del Pacifico, esistono molte isole il cui status territoriale è disputato. E’ il caso delle isole Diaoyu/Senkaku, rivendicate da Cina, Giappone e Taiwan; delle isole Curili, disputate fra Russia e Giappone; delle isole Paracel, contese fra Vietnam, Cina e Taiwan, ricchissime di petrolio e gas.
Le origini di questi contenziosi è legato al colonialismo. Francesi e inglesi, quando hanno abbandonato queste isole, le hanno alienate con accordi commerciali non rispettosi della storia o della composizione etnica dei territori. Alcune isole rivendicate dalla Cina, inoltre, sono state cedute al tempo dell’occupazione Giapponese o dal Kuomintang (il governo nazionalista precedente alla rivoluzione di Maozedong) e la legittimità di quelle scelte sono state sempre negate da Pechino. Piccolissime ma importantissime isole, quindi.
Oltre al gas, infatti, è attraverso la titolarità delle isole che si traccia la linea del “mare territoriale”, quella porzione di mare assimilabile alla terraferma per i poteri sovrani che lo Stato costiero può esercitare. Bisogna, quindi, capire come funziona il diritto del mare.
Il diritto internazionale, infatti, ha sempre postulato la libertà dei mari. All’epoca, gli europei, i più forti dal punto di vista tecnologico, erano gli unici che potevano godere di questa libertà.
Da quando le tecnologie hanno permesso lo sfruttamento delle risorse presenti sui fondali, il diritto si è spinto nella direzione della demanializzazione dei mari. Sono state soprattutto le ex colonie a spingere in questa direzione; giacché l’occidente faceva quello che voleva in tutte le acque.
Bisogna tenere presente, però, che gran parte del diritto del mare non è consuetudinario – cioè valevole per tutti – ma convenzionale, ovvero si applica solo a chi sottoscrive gli accordi. Scrivere un accordo bene, fra l’altro, è importante perché, laddove esista ciò che i tecnici chiamano opinio juris ac necessitatis, quella regola convenzionale si trasforma in diritto cogente e universale.
Oltre al mare territoriale, ci sono altri istituti giuridici. Come la piattaforma territoriale – il prolungamento della nazione sott’acqua – e la zee, zona economica esclusiva, estesa fino e 200 miglia marine dalla costa.
Il caso Impeccable è il seguente: la Cina sostiene di possedere, nella sua zee, il diritto di impedire il passaggio di navi militari straniere in missione.
Mentre l’opinione più diffusa è che le altre nazioni abbiano diritti di libertà di navigazione, di sorvolo, di posa di condotta di cavi sottomarini e financo di sfruttamento della pesca, qualora lo Stato titolare abbia già pescato quanto è nel suo fabbisogno (un dato che dovrebbe essere previsto dalle leggi nazionali, ma che tutti i Paesi si guardano bene dal fissare…).
L’incidente Impeccabile, dunque, sarebbe capitato proprio nella zee cinese.
Ma a chi giova una riforma della zee? Alla Cina, sicuramente.
Il governo cinese ha prodotto, infatti, un Libro bianco sulla Difesa dove punta molto su questa lawfare, o battaglia legale: parte integrante di un progetto di tutela degli interessi cinesi su scala globale.
Certamente, ci sono interessi economici dietro: ma non solo. Pechino, infatti, teme molto le Littoral Combat Ships ed il sistema americano di guerra anfibia: si tratta di una flotta che potrebbe sferrare un attacco micidiale sulla terraferma cinese, partendo proprio dalla zee di Pechino. Ecco perché è fondamentale che lì gli americani non possano vantare neanche servitù di passaggio, senza autorizzazione cinese.
Anche il problema degli isolotti contesi non è di poco conto: perché la zee si misura a partire dal mare territoriale che è delimitato dalle isole, non dalla costa. Non ostante gli attriti con Tokyo e Taipei, è, tuttavia, probabile che la Cina avvii un processo di distensione con gli altri attori asiatici. Per concentrare la propria strategia in chiave anti-americana. A giugno, ad esempio, i governi di Pechino e Tokyo hanno raggiunto un accordo storico per la delimitazione delle proprie piattaforme continentali e per lo sfruttamento congiunto delle riserve, a lungo contese, di Longjing.