L’ultimo incontro svolto da Berlusconi con i sindaci campani del Pdl è assurto al disonore delle cronache per la volgare e greve barzelletta di un premier che ha ridotto la politica a trivio.
Si è trattato, in vero, di un modo di distrarre l’opinione pubblica dal tema del dibattito: la richiesta dei sindaci di fermare gli abbattimenti dei manufatti abusivi stabiliti dall’autorità giudiziaria. Berlusconi, in quella sede, si è impegnato a promulgare un decreto per salvare le “case di necessità”. La barzelletta, quindi, copre la menzogna e lo scempio.
La legge, che dovrebbe essere generale e astratta, infatti, è utilizzata dal nostro premier come un provvedimento amministrativo ad personas, in violazione del principio di divisione dei poteri, contro atti dell’autorità giudiziaria. Berlusconi, attraverso l’uso improprio delle leggi, e invocando un perenne stato emergenziale, corrode il nostro regime politico, sotto lo sguardo distratto del Paese. Menzognera, inoltre, è la teoria delle case di necessità. Tant’è che la Procura di Napoli ha in agenda abbattimenti a Posillipo e per strutture superiori ai 300 mq. Negli ultimi 10 anni, in Campania, d’altronde, sono state realizzate 60.000 abitazioni abusive, 16 al giorno, e nel 67% dei casi di scioglimento dei Comuni napoletani per camorra, tra le motivazioni c’è proprio l’abusivismo.
In Campania, si sono concessi permessi di costruire per 37 milioni di metri, le aree urbanizzate sono aumentate, tra il 1961 ed il 2000, del 700% e, a Napoli, il 62,3% è impermeabilizzato, e quindi costituito da cemento. Più che di case di necessità, si tratta di seconde case e fra i comitati più zelanti incontrati da Berlusconi, infatti, ci sono quelli di Cava de’ Tirreni, Gragnano, Ischia e Bacoli. In questo scenario, l’attuale amministrazione di Napoli, a due mesi dalle elezioni, vara la costruzione di altre case. A Bagnoli, le abitazioni sono salite da 1200 a 1800, a Napoli est, la cittadella della polizia non si farà più e via a 850 nuove case.
Eppure il nostro territorio vanta alti indici di densità edilizia e la stessa relazione di accompagnamento del Piano regolatore del 2004 suggeriva di decongestionare il Comune, ragionando su scala vasta. Né è lecito ritenere sia possibile invertire il saldo migratorio negativo di Napoli senza avviare una nuova politica di housing sociale, dato che i prezzi sono alti e questi alloggi sono pari al 4% dello stock complessivo di abitazioni, contro il 18% della Francia e il 35% dell’Olanda.
La verità è che i Comuni hanno abdicato alle logiche della pianificazione, hanno bisogno di battere cassa e, dal 2001, grazie alla finanziaria Berlusconi, possono utilizzare gli oneri di urbanizzazione, prima vincolati, per le spese ordinarie. Strumenti come le società di trasformazione urbana, che sono Spa, d’altronde, portano il Comune a privilegiare la logica dell’utile. E c’è più convenienza a fare centri commerciali che case per le giovani coppie. Ecco che l’urbanistica consensuale che si è imposta negli anni ’90 – attraverso la quale, il Comune, con strumenti di diritto privato negoziava le trasformazioni urbane -, si è involuta in una urbanistica contrattata dove lo Stato esperisce il mercato in una condizione di debolezza economica, venendone travolto. La legge regionale Di Lello invocata dal Comune di Napoli nei casi Napoli Est e Bagnoli, d’altronde, ha concesso alle giunte di varare piani attuativi che cambino le destinazioni d’uso a parità di cubature.
Ma è palese che costruire il 20% di case o l’80% cambia sostanzialmente la logica pianificatoria sottesa al Prg. In generale, sarebbe necessario riportare il regime degli accordi urbanistici nell’ordinario, ragionando di scambi edificatori nelle scelte di piano e non in deroga ad esso. Eppure, la destra e parte della sinistra sono d’accordo nel ritenere che il Prg abbia “ingessato” lo sviluppo della città. Perché, come si diceva all’epoca di Lauro, “il piano regolatore serve a chi non si sa regolare”.