Il mercato dei rifiuti in Europa sembra funzionare, ma la vecchia ed inadeguata Convenzione di Basilea lascia scappare tonnellate di sostanze pericolose
I dati della Commissione Europea sul traffico illegale di rifiuti in Europa ha registrato un significativo aumento*.
Si tratta di rifiuti ordinari e pericolosi che, dal cuore dell’Europa, si muovono verso il resto del mondo.
Un traffico volto ad aggirare i costi legati alla corretta gestione ambientale dei rifiuti.
Ma anche il traffico legale di rifiuti è aumentato: dal 1997 al 2005 i valori sono quadruplicati. E’ il mercato che seleziona il Paese ottimale, dal punto di vista del corretto smaltimento del rifiuto, o piuttosto si tratta di una caccia al prezzo più basso, con il conseguente corollario di problemi ambientali?
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Il traffico di rifiuti fra Paesi UE “apparentemente” sembra dimostrare che nell’Unione si è creato ed è funzionante un vero “mercato unico”, legale, ovviamente.
Il paradosso è che il mercato legale funziona bene. Ma è una coperta troppo corta, che lascia fuori un enorme mercato nero. Vediamo perché.
Nel 2005 (gli ultimi dati disponibili) dei 10,4 milioni di tonnellate di rifiuti “movimentati” all’interno dell’Unione, solo l’11% è finito verso Paesi terzi (non OECD, per la precisione).
Peccato che in quell’11% finiscano cose terribili – come l’e-waste, i vecchi Pc e telefonini, destinati all’Africa – ed esista un mercato illegale dei rifiuti in crescente espansione: e di cui non conosciamo bene neanche le dimensioni. I dati di Brussels, infatti, sono elaborati a partire dalle semplici stime e proiezioni che i singoli governi nazionali forniscono. Si parla di una media di 22.000 tonnellate l’anno di traffico illegale di rifiuti, con punte di 47.000 tonnellate. Il traffico di rifiuti pericolosi avviene soprattutto dentro la UE. Come dimostra il caso Campania.
Il traffico illegale verso i Paesi non-OECD, invece, è soprattutto di tal quale: ed è, in un certo senso, favorito dagli stessi “Paesi vittime”.
Esiste, infatti, in Africa ed Asia, una precisa filiera di trattamento dell’immondizia al fine di riciclare e alimentare l’economia di sussistenza che chiama a sé i “preziosi” rifiuti “Made in Europe”. Nel Sud del mondo, slums e baraccapoli vengono costruite su discariche, attraverso le quali molti diseredati possono sopravvivere.
Poi, c’è il problema e-waste, con cpu e schede madri piene di metalli altamente inquinanti e difficilmente “tracciabili”. Monnezza senza frontiere, quindi: ma perché? Incredibilmente, nonostante la UE venga accusata di iperegolamentazione, in questo caso c’è una “falla legislativa”.
Gli Stati nazionali, infatti, ignorano quasi completamente la materia, mentre Brussels si è limitata a dare attuazione all’unica fonte normativa che se ne occupa: la Convenzione ONU di Basilea. Tuttavia, la Convenzione è vecchia ed inadeguata. I 47 codici che classificano l’immondizia previsti dall’ONU non corrispondono all’attuale rifiuto movimentato. Ad esempio, non c’è un codice preciso né per l’e-waste, né per il legno contaminato. E il paradosso è che il mercato legale sembra funzionare. Mentre l’immondizia viaggia e fa danni.
* Dati Waste without borders in EU, EEA Report 2009