L’Eastern Partnership è stata lanciata. Il sette maggio sono convenuti a Praga i 27 Paesi membri dell’Ue e sette nazioni dell’Est dell’ex blocco sovietico: Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Georgia, Ucraina e Moldavia. Si tratta del più ambizioso progetto dell’Unione europea dai tempi dell’allargamento.
La solenne dichiarazione della Conferenza di Praga impegna la Ue a favorire pace, stabilità e prosperità in una regione, storicamente europea, e attualmente geopoliticamente strategica. Un obiettivo meno solenne, ma non meno importante, è, infatti, controbilanciare l’influenza russa nell’Est. E’ anche per questo che, alla fine, anche la Bielorussia è stata invitata: il Paese- definito “Stato canaglia” dall’ex presidente americano George W. Bush – lascia molto a desiderare dal punto di vista del rispetto dei diritti umani. Ma il rischio che fosse completamente assorbito nell’orbita d’influenza del Cremlino pesa di più dell’acquis comunitarie.
Ma, si badi bene, con questa mossa la Ue cerca solo di frenare l’influenza russa, non la neutralizza. Ed ancora esistono forti divergenze di interessi fra i 27 membri dell’Unione in merito ai Paesi invitati al summit. Dove si vuole andare con questa Eastern Partnership ancora non è chiaro.
La Ue vuole “strappare” questi Paesi a Mosca, ma cosa offre?
La controparte Ue richiede libera circolazione di uomini e merci e, in ultima istanza, ingresso nell’Unione. Peccato che molte nazioni Ue temano sia l’aumento dei flussi migratori – una vera spada di Damocle sulla testa dei governi di centro-destra – che la competizione al ribasso che i nuovi lavoratori dell’Est imporrebbero agli europei nei settori meno qualificati del mercato del lavoro – e questo è lo spauracchio per gli esecutivi di sinistra -. Quanto agli accession talk, tutti i 27 sembrano orientati a slegarli dagli accordi dell’Eastern Partnership.
Inoltre, non mancano le tensioni domestiche interne all’Unione. Ad esempio, Nicolas Sarkozy e Jose Luis Zapatero non sono direttamente presenti a Praga in segno di ostilità verso le nazioni di più recente ingresso, come la Repubblica Ceca, la Slovenia e la Polonia, forti sostenitrici di un allargamento ad Est: visto con sospetto sia da Madrid che da Parigi, in quanto capace di spostare l’equilibrio degli interessi ad ovest di Berlino. Ci sono state anche piccolissime dispute sulle frasi da scrivere nella dichiarazione che sono spie di grandi problemi: Germania, Francia e Italia volevano eliminare la definizione “Nazioni europee” utilizzata per descrivere i Paesi dell’Est convenuti, timorosi che ciò potesse significare un via libera all’allargamento.
Oggi, la dichiarazione fissa il minimo indispensabile. Una conferenza ogni due anni e quattro piattaforme di collaborazione: “Democrazia, governance e stabilità”, “Integrazione economica e convergenza con le politiche Ue”, “Sicurezza energetica” e un blando “Contatti fra i popoli”, che ha sostituito sia le più solenni dichiarazioni in merito alla libera circolazione degli individui che le più prosaiche richieste di eliminazione dei visti. Anche se la realtà della cooperazione svela un livello di integrazione ancora basso, la Conferenza di Praga è abbastanza per far arrabbiare Mosca.
Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha apertamente definito l’Eastern Partnership una versione rinnovata della politica delle “sfere di influenza”, un tentativo di influenzare alcuni Paesi dell’Est, come la Russia bianca, al fine di non riconoscere l’indipendenza di Abcazia ed Ossezia (tuttavia assai discutibile dal punto di vista del diritto internazionale). Con la caduta del muro di Berlino, infatti, la Ue ha incominciato a sviluppare una nuova politica verso l’Oriente – che è stata definita da Mark Leonard Eurosfera – appoggiata direttamente da Barroso.
L’Eurosfera si estenderebbe fino al Kazakistan e all’Iran. Zone storicamente oggetto dell’espansionismo russo, già ai tempi dello zar. Negli ultimi anni, però, la rinnovata forza diplomatica di Mosca ha portato il Cremlino a rivendicare quella che un tempo era la propria sfera. Laddove la Ue cerca di cooptare con incentivi e stabilità, la Russia ha optato per una strategia opposta. Fatta di ritorsioni (energetiche, in primis) e destabilizzazione, attraverso le riottose enclavi russe che ha dispiegato nel Caucaso. Attualmente, la politica di Brussel sembra orientata al realismo: l’Europa ha chiuso un occhio sulla situazione dei diritti civili in Moldavia e Bielorussia, ad esempio (anche se, alla fine, Brussel è riuscita a far desistere i presidenti bielorusso e moldavo Alyaksandr Lukashenka e Vladimir Voronin dal partecipare direttamente alla conferenza).
Si tratta di capire, però, fino a che punto la realpolitik europea si potrà spingere, data la frantumazione degli interessi dei 27 Paesi membri in campo. Per ora la controparte Ue ha rifiutato di riconoscere la contestata indipendenza di Abcazia ed Ossezia. Sia Est che Ovest perseguono la sicurezza energetica. Ma cosa è realmente disposta ad offrire la Ue ai Paesi dell’Est?