Domani, potrebbe scriversi una pagina di verità nella morte di Rachel Corrie, la giovane attivista americana pro-palestinese, morta a soli 23 anni, il 16 marzo del 2003, sotto le ruspe israeliane, nel tentativo di fare da scudo umano agli abbattimenti delle case dei profughi di Rafah, vicino al confine tra la Striscia di Gaza e l’Egitto.
Domani 28 agosto, infatti, il tribunale civile di Haifa, dovrebbe emettere il suo verdetto sulla causa intentata dalla famiglia della vittima contro lo Stato d’Israele.
Rachel Corrie era un’attivista pro-palestinese del Movimento di Solidarietà Internazionale (ISM), e venne schiacciata da una ruspa israeliana nel tentativo di impedire con il suo corpo la demolizione di una casa palestinese.
A seguito dello seconda intifada, la repressione dell’esercito israeliano nei territori palestinesi era diventata durissima. L’esercito intraprendeva rastrellamenti e abbattimenti di case dove si nascondevano terroristi, secondo Tel Aviv. Secondo gli attivisti umanitari e i palestinesi, si trattava di rappresaglie indiscriminate.
Subito dopo il drammatico incidente, Corrie è diventata un simbolo della repressione israeliana e della resistenza palestinese.
I familiari di Corrie, grazie alle testimonianze raccolte dagli attivisti sul luogo della morte della figlia, hanno da subito sostenuto che si fosse trattato di un assassino premeditato. Il militare, secondo quella ricostruzione, aveva perfettamente visto l’attivista, schiacciandola intenzionalmente.
Il giorno dopo l’incidente, l’allora primo ministro israeliano Ariel Sharon promise al presidente americano George W. Bush che Israele avrebbe condotto un’indagine “completa, credibile e trasparente” sull’incidente.
Ma l’esito di quella inchiesta fu, alla fine, molto meno trasparente, almeno per le ambizioni dei familiari della vittima.
La Commissione d’inchiesta, infatti, ritenne che non ci fossero responsabilità, né per il conducente la ruspa, né per l’esercito.
Secondo una lettera inviata dall’Ufficio Stampa dell’Ambasciata d’Israele presso la Santa Sede, “Durante un’operazione di bonifica di un’area in cui erano nascosti congegni esplosivi, che i terroristi erano intenzionati ad utilizzare contro soldati e civili israeliani, un gruppo di membri dell’Ism è entrato nella zona delle operazioni cercando di bloccarle. I soldati israeliani hanno tentato di allontanare i dimostranti e nello stesso tempo hanno spostato il luogo delle operazioni per evitare incidenti. I manifestanti sono riusciti a mantenersi sempre in vicinanza ai luoghi dei lavori. Si precisa che questi avvenimenti si sono svolti al confine tra Israele ed Egitto, in un’area sotto il controllo israeliano, come stabilito dall’accordo di pace firmato dai due Paesi. Verso le 17 Rachel Corrie si trovava nascosta da un mucchio di terra, formato dal lavoro delle ruspe, alla vista del conducente, che ignaro ha proseguito nello svolgimento della sua attività. La giovane è quindi stata accidentalmente investita da un oggetto contundente.
È stato chiesto immediatamente il soccorso di un’unità medica dell’esercito che si trovava nelle vicinanze, ma quando sono arrivati gli aiuti i compagni della ragazza avevano già provveduto a trasportarla nei Territori Palestinesi. Per far luce sui fatti di quel giorno, è stata condotta un’accurata indagine dai vertici dell’esercito. Il risultato delle investigazioni è stato che Rachel Corrie non è stata investita da un veicolo, ma piuttosto è stata travolta da un oggetto molto pesante, probabilmente una lastra di cemento, caduto per un cedimento del terreno causato dai lavori. Siamo davanti, quindi, ad un incidente che non ha avuto nulla d’intenzionale.”
A seguito dell’esito dell’inchiesta, la famiglia Corrie denunciò subito la sentenza come una farsa. Non c’erano stati gli approfondimenti del caso, l’istruttoria era stata lacunosa, non approfondendo le testimonianze oculari di chi aveva visto Corrie morire sotto i cingoli del bulldozer.
Anche la diplomazia americana, pur con le armi spuntate di un paese che comunque difficilmente mette in discussione la politica israeliana, sostenne la lacunosità dell’istruttoria.
I Corrie, in seguito, decisero di fare causa allo Stato d’Israele per l’assassinio premeditato della figlia. Domani, dunque, dovremmo assistere proprio a questa sentenza.
Qualsiasi verità giuridica il tribunale di Haifa dovesse individuare, sono curioso di vedere cosa i giudici rileveranno circa la presunta lacunosità della precedente inchiesta militare. Al di là del poter individuare dei responsabili per la morte di Rachel, se i giudici dovessero ritenere l’accusa sostenuta dalla stessa diplomazia di Washington vera, sarebbe lecito aspettarsi anche dalla Casa Bianca una mozione di censura nei riguardi del governo israeliano. Voi ci credete?