“I confini euro mediterranei sono conosciuti in tutto il mondo per il numero delle vittime e delle violazioni dei diritti umani dei migranti che cercano di raggiungere le sponde europee dell’Andalusia, della Sicilia, di Lampedusa”.
Così inizia il report 2009 dell’Osservatorio del sistema penale e dei diritti umani, finanziato dalla Commissione europea nell’ambito del sesto programma quadro di ricerca dell’Unione, pubblicato lo scorso 27 aprile -. Con negli occhi le sofferenze dei migranti di Lampedusa, non è difficile condividere un giudizio così drastico e amaro.
Il Mediterraneo, infatti, è stato investito da un processo culturale comune ad altri confini: sotto la spinta di alcuni partiti politici, in tutta Europa, ad un concetto di confine come connettore di comunicazione o di scambio se n’è sostituito un altro dove l’accento viene posto sulla divisione, o separazione dagli altri, visti come pericolo o minaccia della sicurezza nazionale. Da ciò discende anche la progressiva trasformazione delle politiche sulla immigrazione da politiche sociali a questioni di ordine pubblico.
Il report, infatti, parla di progressiva militarizzazione dei confini, con continue violazioni dei diritti umani ed erosione del Rule of Law europeo. Questa preoccupante regressione extralegale degli strumenti e modalità di gestione legittima dell’immigrazione clandestina, inoltre, non trovano minimamente fondamento nei dati di fatto: secondo il report, solo una percentuale bassissima fra i clandestini che approcciano l’Europa via mare può legalmente classificarsi come irregolare. Il battage mediatico, e la durezza degli strumenti, eccedono la portata reale del fenomeno.
La Carta Europea dei diritti dell’uomo (Cedu) e varie sentenze, ad esempio, hanno più volte sottolineato l’illegittimità delle espulsioni collettive, e l’Italia è stata più volte ammonita dal Parlamento europeo.
La nostra Costituzione, d’altronde, sancisce che contro gli atti della Pubblica amministrazione è sempre possibile ricorrere; cosa che non è stata sempre concessa a molti migranti. Il paradosso giuridico è che la Carta dell’Onu e la Cedu sanciscono una serie di diritti inalienabili ed universali che le legislazioni nazionali comprimono nei limiti angusti dei diritti di cittadinanza; come se la “Libertà e Dignità dell’Uomo” potessero essere riconosciute solo a chi paga le tasse. Secondo quanto emerge dalla ricerca, il problema della mancata tutela dei diritti umani nell’ambito delle operazioni contro l’immigrazione clandestina risiedono in un buco tecnico-legislativo che favorisce un problema di giurisdizione.
Nell’ambito del programma di controllo dei confini europei (Frontex), gli Stati Ue sono autorizzati a compiere missioni anche fuori dalle proprie acque territoriali, in acque africane, ad esempio, in forza di accordi multilaterali sottoscritti con i Paesi d’origine dei migranti. Le eventuali violazioni dei diritti umani, però, non sono ascrivibili ai Paesi d’origine, ma direttamente alle nazioni europee. Esistono sentenze della Corte europea dei diritti umani (caso Stocké Vs RFT) che affermano questo principio in modo chiaro. Ecco perché le nazioni Ue devono essere richiamate seriamente, su questo tema, al rispetto della legge.