Si delinea una burrascosa crisi diplomatica fra Italia e Slovenia sul caso del rigassificatore di Trieste.
Dopo la denuncia dell’associazione ambientalista croato-italo-slovena AAG – Alpe Adria Green del 21 agosto scorso, infatti, monte l’indignazione dell’opinione pubblica d’Oltrecarso sul caso, nonostante il ferale silenzio mediatico che ha inghiottito la vicenda giuliana, qui in Italia.
AAG, infatti, ritiene che ci sia stata una falsificazione degli studi in base ai quali il governo italiano ha rilasciato il nulla-osta per la costruzione del rigassificatore. Le accuse degli ambientalisti, fra l’altro, si basano su indagini della polizia giudiziaria italiana in merito ad una scorretta valutazione d’impatto ambientale volta a favorire la concessione del nulla-osta.
In effetti, il rigassificatore di Trieste è un crocevia di diversi e a volte opachi interessi contrapposti fra elite economiche, politiche e diplomatiche, i bisogni delle comunità locali e le tutele di salvaguardia del territorio.
L’impianto dovrebbe sorgere nell’area di Zaule, a pochi chilometri dal confine sloveno. Un investimento di 600 milioni di euro che sarà realizzato in 40 mesi dalla società spagnola Gas Natural. Secondo AAG, il bacino del Mare Adriatico settentrionale è troppo angusto ed incapace di assorbire un altro intervento di tale portata. Nel golfo già ci sono l’oleodotto transalpino SIOT e un fitto traffico di navi con trasporti pericolosi, che accresce il rischio di incidenti o attentati.
Inoltre, il rigassificatore potrebbe apportare una decisa alterazione delle acque per via degli scarichi giornalieri di 650.000 metri cubi di acque marine raffreddate e di un’immissione di cloro pari a 40 tonnellate/l’anno. Non è la prima volta, d’altronde che ci sono incidenti transfrontalieri fra Italia e Slovenia. A luglio di quest’anno, la Commissione per le Petizioni del Parlamento Europeo ha confermato la continuazione dell’inchiesta avviata a seguito della presentazione della denuncia di Greenaction Transnational sugli inquinamenti in Slovenia causati dagli impianti industriali e dai depuratori fognari di Trieste, ad esempio.
La Slovenia si è sempre dimostrata pugnace nel difendere il proprio territorio, d’altronde; l’ex ministro dell’Ambiente sloveno Janez Podobnik si era a suo tempo rivolto ufficialmente al commissario europeo per l’ambiente Stavros Dimas contro il rigassificatore. Ma una serie di interessi intrecciati, questa volta, nonostante l’indignazione dell’opinione pubblica di Lubiana, fa ritenere che il governo sloveno, chiamato dalla normativa comunitaria a dover concedere anch’esso il nulla-osta per il progetto, possa infine approvare il rigassificatore alle porte dei propri confini.
Cortesia istituzionale, in primis, in quanto l’Italia si fa carico dei rischi legati alla centrale nucleare slovena di Krško. Il governo Berlusconi, d’altronde, sarebbe anche interessato a favorire l’impiego di industrie italiane nel prossimo raddoppio proprio di Krško. Gli incontri bilaterali di settembre fra Roma e Lubiana (forse) chiariranno la faccenda.