Il mercato nero dei visti Ue e il risentimento dell’Est verso Brussels
A Berlino, nell’89, non è scomparso l’ultimo muro. Ce n’è ancora un altro, che allora come oggi, divide in due l’Europa. Quella “politica” da quella geografica. Lo si potrebbe definire “il muro di Schengen”. I confini europei fra i Paesi membri dell’Unione europea e i non membri. Un vero shock per nazioni, come quelle balcaniche, che da sempre si considerano parte integrante dell’Europa. Non è casuale, ad esempio, che i serbi si siano sempre tradizionalmente sentiti i difensori dell’Europa – a seguito del sacrificio della nobiltà serba contro le truppe ottomane nella battaglia di Kosovopolje del 1389, che farà sì che i turchi non riescano a raggiungere Vienna, ad esempio – eppure, a Belgrado, hanno guadagnato consensi partiti profondamente euroscettici. Circa il 70% dei giovani dell’ex Yugoslovia, con l’eccezione di Slovenia e Croazia, ora nella Ue, non hanno mai potuto mettere piede fuori dal proprio Paese, d’altronde. Nel 1990 soffiava il “vento della libertà”. Gli europei dell’Est potevano finalmente viaggiare, liberi dall’opprimente burocrazia sovietica. Ma con gli obblighi sottoscritti da Polonia, Slovacchia ed Ungheria per entrare nell’Ue, la musica cambiava. Le nazioni del Caucaso, in modo particolare, non confinando direttamente con l’Ue, diventano ancora più isolate, intrappolate fra le montagne. […]