Per la destra berlusconiana, l’agricoltura è “cosa nostra”. Da Zaia a Galan, il potere è veneto, amico e vicino al Nord.
Eppure, nonostante la giusta importanza dell’agricoltura padana, è noto che il settore primario di qualità rappresenti una delle eccellenze del Sud, uno di quei pochi fattori cui vincolarne lo sviluppo. Soprattutto con la fine dell’intervento straordinario, e l’idea di creare una grande industria fordista di Stato, le elite politiche italiane sembrano aver accettato il fatto che il Mezzogiorno viri verso una postmodernità fatta di terziario e quaternario, avendo forzosamente saltato la modernità industriale. Ma, per il Pdl a trazione leghista, non c’è settore che possa essere lasciato al Mezzogiorno: industria, turismo, agricoltura, la Lega ha costruito un’ideologia per cui il Settentrione debba essere ristorato degli scempi della “Roma ladrona” e dell’assistenzialismo lazzarone. Nonostante il Nord sia sviluppato, e la forbice con il Sud si allarghi sempre di più, dallo scandalo delle quote latte, al sostegno di Zaia alla mozzarella di bufala di Cremona, i ministri dell’agricoltura del Pdl sono una manna per la “Padania” e una iattura per il Meridione.
Eppure, le vocazioni naturali imporrebbero che il governo, almeno nell’agricoltura, fosse solo un po’ più filomeridionale. In Italia, infatti, il 67% delle coltivazioni biologiche è concentrato al Sud, con Sicilia, Basilicata e Puglia in testa; in merito ai marchi di qualità, su 226 marchi italiani Dop e Igp il 43%, pari a 77, proviene dal Mezzogiorno, soprattut- to olii e prodotti ortofrutticoli. Le politiche del Pdl per il Sud, invece, anche in agricoltura, hanno fallito.
Secondo l’ultimo rapporto Svimez, infatti, contrariamente ai precedenti anni di recessione, nel 2009 l’agricoltura meridionale è stata investita dalla crisi. Il setto- re primario del Sud è stato penalizzato, giacché la contrazione valutata a prezzi costanti è stata del -5% contro il -1,9% del Centro-Nord. Il Mezzogiorno ha perso 115mila posti di lavoro, con un calo di produttività maggiore del Nord. E il motivo è semplice: gli investimenti, rispetto al 2008, sono stati inferiori del 12%.
Ma le scelte di Zaia e Galan, volte a favorire il Nord, alla fine, potrebbero danneggiare l’intera agricoltura nazionale. Da anni, in Italia, infatti, decisori politici e intellettuali teorizzano la sovranità alimentare e l’importanza delle vocazioni territoriali. Il valore aggiunto della nostra agricoltura, non a caso, sarebbe in quello che i francesi chiamano il terroir. Un prodotto alimen- tare, cioè, non dovrebbe essere un semplice bene di consumo, ma un’opera dell’ingegno umano, testimonianza antropologica di un denso legame fra uomo, territorio, cultura. E’ in forza di questa ideologia che l’Italia ha appena candidato la “dieta mediterranea” all’inserimento nella Lista del Patrimonio Mondiale Immateriale dell’Umanità Unesco; è in questo solco che il nostro Pae- se denuncia i vari “parmesan” americani, contro il vero Parmigiano Reggiano. Eppure, il leghista Zaia è stato il miglior promotore della mozzarella di bufala lombarda.
Il governatore Formigoni si è spinto più in là, invitando i suoi corregionali a consumare non solo mozzarelle lombarde, ma anche il caviale dell’Oglio e del Mincio. Allora, smarrito il legame prodotto-territorio, come po- trà l’Italia denunciare ancora le mozzarelle cinesi?