Di Pietro a caccia dei voti del Pd?

I fautori del bipolarismo competitivo hanno sofferto per i successi abruzzesi di Di Pietro. E tremano per le europee. Ma siamo sicuri che il sistema politico funzionerebbe meglio con un’Idv ridimensionata?

Per i profeti della governabilità – che secondo le migliori intenzioni dovrebbe coincidere con il bipartitismo – oggi, lo scandalo, si chiama Di Pietro. Ieri, le preoccupazioni andavano verso “la sinistra massimalista”, questa nefasta armata di “rivoluzionari di professioni”.

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Oggi, lo “spettro che si aggira” per il parlamento italiano è Di Pietro. D’altronde è palese che il leader dell’Idv sia un pericoloso “bolscevico”; altrimenti come spiegare i fiumi di inchiostro che si scrivono sul novello Lenin molisano? Dopo le elezioni in Abruzzo, ad esempio, il Corsera ha parlato di «spallate e macerie» a causa dell’Idv, pronto a «cannibalizzare» la pecorella Pd, soccombente sotto le fauci della furia giustizial-stalinista di Di Pietro.
Insomma, è il “lider maximo molisano” il problema per la democrazia: no i Fiore, i Gentilini e i Calderoli.

Ma qual è lo scenario istituzionale che sognano i nemici dell’Idv?
Il bipartitismo competitivo? Non credo.
Innanzitutto, è assolutamente ridicolo dipingere Di Pietro come un massimalista o radicale; in più di un’occasione, egli ha rimarcato la sua diversità rispetto la “fu sinistra massimalista” (il che non è detto sia necessariamente un bene…).
Cosa ci sia di male, poi, nel fatto che i partiti siano in competizione fra di loro, anche nella stessa coalizione, per la ricerca del consenso, non è chiaro.

La metafora del libero mercato politico, più efficiente e performante dell’oziosa palude trasformistica e collusiva della I Repubblica, starebbe lì a dimostrarlo.
Gli aedi del bipolarismo competitivo la vogliono o no questa “allocazione ottimale delle risorse politiche” promessa dai sistemi competitivi e bipolari? Si direbbe di no, se Di Pietro «cannibalizza».
D’altronde, i nemici della I Repubblica lamentavano giustamente il carattere non performante del sistema politico italiano: condannato ad inefficienze e trasformismi.

Vivevamo in una situazione di pluralismo polarizzato e le cause erano da ricercarsi anche nella presenza dei “partiti anti-sistema”: partiti di lotta e non di governo, ali radicali, che spingevano il centro a governare con metodi clientelari ed opachi.
Ecco che la “modernità”, a detta di questi “profeti”, si sarebbe raggiunta espellendo Pdci, Rifondazione e Verdi dal parlamento: già era difficile convincere il Paese che quel trittico – che amministra placidamente tanti Enti locali – rappresentava i partiti anti-sistema della II Repubblica, gli eredi di Democrazia proletaria. Ma spacciare come anti-sistema l’Idv – che ha candidato De Gregorio, sicuramente non sospettabile di simpatie trozkiste – è, addirittura, risibile.
In realtà, l’attuale parlamento, pur se eletto con un sistema che non garantisce l’assenza di frammentazione partitica, presenta una meccanica di tipo “pluralista moderato”, con pochi partiti, in larga parte de-ideologizzati e non anti-sistema.
Insomma, nonostante il Mattarellum, la cosa funziona.

Ma forse, i nemici dell’Idv sognano un sistema bipolare perfetto – con soli due partiti – ancora più efficiente. Ma qui casca l’asino. Perché è molto probabile che un sistema bipolare, invece di garantire la massima competizione e governabilità, generi un contesto da “oligopolio collusivo”.
Cioè: se sono solo due i partiti che possono aspirare a vincere, è probabile che questi governino con modo consociativo al fine di mantenere il potere per il potere ed ammortizzare i rischi dell’exit, o dell’uscita dal gioco che un sistema di mercato “a mano invisibile” comporta.

L’attuale fisionomia da cartel party che i maggiori partiti italiani sembrano assumere non fa altro che rafforzare il timore di questa involuzione elitistica, da “casta”, che la prospettiva bipolare comporterebbe.

Il problema più serio, infine, non è di tipo meramente tecnico ma politico.
Perché l’Idv cresce? Perché la Lega è forte? Perché rastrellano voti di opinione di chi crede “nei territori” e “nei valori”. Il Pd, più che sentirsi «cannibalizzato», dovrebbe forse formulare delle risposte politiche a queste domande. O vogliamo un sistema bipolare oligopolistico dove vota il 30% dei cittadini?

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