I veri primati degli insegnanti meridionali

Il sole non splende sulla scuola a Mezzogiorno. Ieri, la Gelmini tuonava “nel Sud, alcune scuole abbassano la qualità della scuola italiana” minacciando corsi ad hoc per gli insegnanti meridionali; oggi c’è chi parla di “zavorra culturale” pesando il gap che separa campani e friulani nei famigerati test Pisa dell’Ocse che valutano le competenze dei quindicenni.

Eppure, nonostante oggi il Sud abbia sorpassato il Nord per numero di diplomati ed iscritti alle università, il pubblico dibattito sembra in parte ancora caratterizzato da un vecchio determinismo etnico che espunge il fatto che il Mezzogiorno, prima di essere un luogo, è una condizione sociale. La scuola campana, infatti, non partecipa del consueto fallimento delle pubblica amministrazione meridionale e i problemi di cui soffre sono anche extrascolastici. Il nostro sistema formativo nazionale, infatti, ha centrato l’obiettivo di insegnare l’italiano ad un Paese analfabeta ma non riesce a far prendere l’ascensore sociale ai meritevoli.

Questo perché l’Italia è un Paese con bassissima mobilità sociale e i figli dei poveri, anche se bravi, restano poveri. Secondo il report di Bankitalia redatto dal professor Montanari, infatti, i “differenziali di conoscenze e competenze tra gli studenti del Nord e quelli del Sud è attribuibile agli studenti provenienti da famiglie svantaggiate”.

Gli stessi dati Ocse Pisa, inoltre, prima di registrare la forbice Nord-Sud, testimoniano, anche, che le prestazioni degli studenti dei licei sono uguali in tutta Italia; è negli istituti tecnici e professionali, frequentati dalle classi popolari, che si scava questo odioso gap. A Sud, inoltre, il mercato del lavoro funziona come vero e proprio fattore deprimente, non solo della formazione scolastica, ma delle stesso ethos che è ad essa sottesa. Infatti, i laureati del Sud sono caratterizzati da educational mismatch e overeducation, cioè sono troppo qualificati rispetto ad un mercato che chiede di meno e che, alla fine, ti coopterà in base alle tue conoscenze, non per le tue competenze.

Infine, proprio il test Pisa, e per ammissione della stessa Ocse, si basa su di una serie di “competenze per la vita” che non provengono dalla formazione scolastica ma dalla famiglia. Insomma, se il mercato del lavoro premierà chi conosce perfettamente l’inglese e non i Promessi sposi, per uno studente di provenienza non borghese, cioè spesso meridionale, recuperare il gap con un coetaneo che passa tutti gli agosti in un college a Londra può risultare impossibile. Inoltre, secondo la Fondazione Agnelli, bisognerebbe spendere 7 miliardi di euro per dotare il Sud di un capitale infrastrutturale scolastico pari a quello del Nord; mentre la nostra spesa media annua per alunni è inferiore di più di mille euro rispetto al Friuli. L’idea che la scuola meridionale sia un progetto fallito, allora, è ingiusta. Portare alla sufficienza chi partiva dal due è più difficile che valorizzare con un otto un bambino già sufficiente.

Il rapporto percentuale spesa pubblica scolastica/Pil, in Campania, infatti, è il secondo più alto d’Italia. Ma si tratta di una buona spesa, non di uno spreco. La Fondazione Agnelli, infatti, oltre a stimare l’efficienza e l’efficacia sulla scia del Pisa test ha valutato che la scuola meridionale, seppur ultima in efficacia, è prima in Italia secondo gli indicatori di equità; mentre, al Nord, la situazione si capovolge. Ecco che, allora, una volta tanto, il Mezzogiorno fa quello che può e quello che deve: aiutare gli ultimi. Una scuola che non lo facesse, come diceva Don Milani, sarebbe “un ospedale che cura i sani e respinge i malati”.

Quello che non va, in definitiva, è che il 95% del bilancio del Ministero dell’Istruzione vada ancora via esclusivamente in stipendi e che il governo abbia colpevolmente dirottato sulle emergenze i 7,2 miliardi di euro dei fondi Pan Fas Ricerca e competitività.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/05/13/veri-primati-degli-insegnanti-meridionali.html

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