Il Mezzogiorno sindrome dell’Europa

Il Mezzogiorno vive una condizione kafkiana. Scomparso dal dibattito politico nazionale, ricompare sotto forma di probabile destino comune dell’Italia e della stessa Europa. Molte euroregioni si sono “mezzogiornizzate”, infatti, mentre l’Italia è sempre più percepita come un Sud negletto dell’Unione.

Siamo Piigs, il cui acronimo significa “maiali”, dunque non siamo solo poveri, ma anche vilipesi, a causa dell’imperante etica calvinista per la quale le nostre colpe ce le meritiamo. Non a caso, in tedesco, schuld indica sia debito che colpa. La stessa Europa, intanto, subalterna all’ideologia dell’austerità, potrebbe diventare il Mezzogiorno delle nuove potenze, Cina, India e Brasile. Lo scrissero in un appello pubblico, inascoltato, premi Nobel come Kenneth Arrow e Robert Solow, in occasione dell’adozione del Fiscal Compact.

La mezzogiornizzazione dell’Italia, intanto, si accompagna alla diffusione di una vera e propria ideologia, simile a quella che operò in passato per legittimare spoliazioni e angherie nei riguardi del Sud. Così come i meridionali erano inclini ad essere scansafatiche per lombrosiana tabe, così il panegirico dell’austerità fiscale e il biasimo per la prodigalità dei nostri bilanci da parte del Nord Europa, ci richiama alla nostra natura oziosa, di chi ha goduto non di diritti, ma di privilegi. Riaffiora il razzismo degli scrittori del Grand Tour, per i quali l’Italia era tutta un meridione caldo e sensuale, alieno all’operosità propria dei Paesi del Nord, indotta dal clima più rigido. Quanto suona familiare, a noi meridionali, quello stereotipo dell’italiano buffone, simpatico ma imbroglione che è imputato dalla stampa nord europea a Berlusconi, dato che egli è l’immagine pulcinellesca che certi padani ci addossano! Poco importa che il Cavaliere sia meneghino doc.

La storia gira, però, ed è tempo che padani e germani imparino da noi. Occorre tornare al Sud per salvare l’Europa.

La crisi dell’euro, infatti, era stata prevista dagli studiosi che teorizzarono l’Avo, l‘Area valutaria ottimale, sul cui paradigma si è basata la moneta comune. Secondo gli esperti, in un’Avo, si generano sempre shock asimmetrici fra i forti e i deboli, a fronte dell’inesistenza di una moneta che vada bene per tutti. Si tratta di uno squilibrio della bilancia commerciale, per il quale, al saldo delle partite correnti dell’Italia, che è passato da un avanzo intorno al 2% del Pil negli anni ’90 ad un disavanzo del 3,2% nel 2011, corrisponde un avanzo della Germania. Alla fine, si crea un circolo vizioso, perché Berlino drena il nostro risparmio – con il quale paghiamo interessi ai tedeschi e acquistiamo i loro beni -, grazie ai bassi tassi dei Bund, indotti dallo spread.
Di fronte agli shock asimmetrici, una prima misura tampone è la mobilità del lavoro, che è purtroppo frenata dalle barriere linguistiche. Fare l’avvocato in Germania, per un italiano, è più difficile che per un napoletano esercitare a Bolzano.

Un secondo step è l’integrazione fiscale e l’attuazione di politiche redistributive, con le quali chi gode i benefici maggiori dell’Avo indennizza chi ne paga i costi. Questa scelta è stata rappresentata in Italia dalla Cassa per il Mezzogiorno, che era infatti accompagnata da grosse dinamiche migratorie. A livello europeo, i Fondi di coesione operano come indennizzo. Purtroppo, però, proprio nel momento in cui il Nord Europa registra i maggiori surplus, i Fondi strutturali vengono tagliati draconianamente. Queste voci, nel bilancio della Ue, sono infatti diminuite dai 235 miliardi di euro della programmazione 2000-2006, con l’Europa a 15 stati, agli attuali 347, con l’Europa a 27 membri; mentre la II bozza Van Rompuy, sulla quale l’europarlamento discuterà il budget i prossimi 7 e 8 febbraio, prevede un’ulteriore contrazione a 320 miliardi; che non saranno neanche più destinati in via esclusiva alle regioni povere, come la Campania.

Per i mezzogiorni d’Europa, alla fine, sarebbero utili gli eurobond, sui quali c’è l’ok dell’europarlamento. Ma, nonostante la Germania si fosse dichiarata disponibile, qualora si fosse varata la vigilanza bancaria unica, quest’ultima è arrivata, ma senza gli eurobond.

Ecco, allora, che l’unica opzione di scuola rimasta per riequilibrare la nostra Avo è la stessa che si propose al Sud, negli anni ’90: la flessibilità dei salari. Con la fine dell’intervento straordinario, infatti, molti economisti di scuola neoliberista si persuasero che il Sud sarebbe risorto fisiologicamente, sfruttando il vantaggio competitivo rappresentato dalla minore incidenza del costo del lavoro. Purtroppo, già sappiamo come è andata: dalla fine degli anni ’90, la divergenza Nord-Sud è aumentata. Per progettare il futuro dell’Europa, dunque, dovremmo trarre esperienza dal passato del Mezzogiorno. Historia magistra vitae?

* Pubblicato sulla Repubblica 08/02/2013

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