La politica delle nevrosi

Berlusconi, l’altro giorno, ha insultato per l’ennesima volta Rosy Bindi dileggiando quella che egli giudica la scarsa avvenenza dell’esponente Pd. Una vera e propria mania compulsiva, da parte del premier, che ha fatto delle volgarità contro la Bindi il corollario alle sue consuete battute sessiste.

Fino ad oggi, d’altronde, l’ossessivo martellare sul sesso di Berlusconi era considerato parte della sua strategia volta alla trasformazione della politica in spettacolo. Ora, la gravità e la gratuità delle volgarità indirizzate da Berlusconi alla Bindi, ultima perla di un rosario fatto di lascivi commenti che il premier non riesce a non proferire in qualsiasi contesto, come sul palco confindustriale all’ultimo Euromed a Milano, svelano che non si tratta di una strategia ma di una nevrosi senile. Un’ossessione che si fa politica. A sostegno della tesi di Veronica Lario che, illo tempore, disse che il marito era malato.

Non è raro, d’altronde, che i politici investano affettivamente su quelle che, all’inizio della loro carriera, erano semplici strategie razionali rispetto allo scopo di consolidare il proprio potere. Ma è decisamente più raro il caso di una nevrosi che si fa politica, dove gli elementi cognitivi e catettici, cioè affettivi, del politico verso un oggetto servono, contemporaneamente, un obiettivo strategico, e sono manifestazione di una patologia.

Forse è un paragone troppo illustre da scomodare, e sicuramente l’ossessione di Berlusconi non è ugualmente grave, ma è proprio Hitler che ha trasformato le sue nevrosi in politica. L’antisemitismo, infatti, era una strategia abbastanza consolidata e preesistente al Führer. Ma, con Hitler, si fa un salto qualitativo. Il suo odio verso gli ebrei, infatti, era profondo, assoluto, vero; ben oltre quelle mode reazionarie diffuse nella Francia dell’affaire Dreyfus. Allo stesso modo, l’ossessione di Berlusconi per quella che potremmo definire una visione pornografica della donna va oltre la razionale strategia del premier di alimentare una società del consumismo e dell’immagine che è funzionale sia ai suoi interessi imprenditoriali che politici. La devozione di Berlusconi al velinismo è sincera, assoluta, compulsiva. In modo surrealista, Berlusconi si serve di un immaginario che ha creato con le sue televisioni, ma vi è al contempo asservito; egli è, paradossalmente, vittima di un suo sogno.

La Bindi, suo malgrado, è l’elemento distonico nella visione berlusconiana. Il Cavaliere, infatti, si circonda in gran parte di donne giovani e belle. Le altre, con i loro capelli tinti, i tailleur che torniscono i glutei e le gambe, con quelle abbronzature caraibiche e quei caldi fard, rimandano a quell’idea ossessiva di giovinezza alla quale Berlusconi anela come il professor Gustav von Aschenbach descritto da Thomas Mann in Morte a Venezia. Il torto della Bindi, allora, non sarebbe quello di non essere giovane e bella, secondo il premier, ma di negare quella visione berlusconiana semplicemente in forza dei propri capelli bianchi; affermando la verità del tempo e del corpo, contro un potere biopolitico. Colpa su colpa, la Bindi ha sempre ribattuto a Berlusconi colpo su colpo. La gaffe di Berlusconi, quindi, non sarà l’ultima. Perché lo scandalo di una donna che fugge la finzione decorativa berlusconiana è tale da dover essere sempre stigmatizzato. Giacché nega quel velinismo che ha cessato di essere strategia, ma si è fatto patologia.

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